Ducktopia, pensavo fosse un fantasy… invece era un isekai

15 OTT 2021
La compagnia di Ducktopia

Qui comincia l’avventura…

Tutti gli autori Disney italiani, bene o male, sono chiamati a un certo grado di versatilità. Questo perché il mondo fumettistico di Topolino & co. è, per propria natura, stilisticamente variegato, fantastico nell’accezione più ampia possibile: quello disneyano è il fumetto delle infinite possibilità, del meraviglioso in tutte le sue sfumature (e ambiguità) semantiche. E deve esserlo, per poter continuare a uscire ogni settimana in tutte le edicole d’Italia dopo quasi un novantennio di storie. The sense of wonder must go on.

Tuttavia, non c’è autore più o meno prolifico che non si sia specializzato, diciamo così, in uno o più sottogeneri “preferiti”. Così, da Casty ci aspettiamo una storia a tinte thriller/noir, da Enrico Faccini uno splapstick/screwball (magari con Paperoga protagonista, il nonsensical character per eccellenza), dalla new entry Marco Nucci un’avventura teen, una commedia con elementi spokon o sci/fi.

Un’eccezione importante in tal senso è rappresentata dalla figura di Francesco Artibani, autore romano che altrove ho definito “lo sceneggiatore più versatile del fumetto Disney”: da PKNA a Super Pippo passando per L’ultima avventura e Il fiume del tempo, quando una nuova storia di Artibani viene annunciata letteralmente non sappiamo cosa aspettarci.

La sua collaborazione con la nota scrittrice fantasy Licia Troisi, pubblicizzata con una certa enfasi, pareva dovesse portare a un certo tipo di opera, tanto più che Artibani stesso ha alle spalle qualche ottima storia ambientata nei reami dell’impossibile. Ed è qui che entra in gioco la genialità alla base della creazione di Ducktopia, che è contemporaneamente: un isekai, una “parodia mascherata”, un’autoparodia.

La strada per l'Inferno

L’inizio di tutti i viaggi “fantasy” Disney

Proprio perché il sense of wonder non può fermarsi mai, nelle storie prodotte nel nostro Paese il relativamente ridotto cast di personaggi si è trovato ad affrontare le prove più astruse, le peregrinazioni più incredibili.

I nostri “eroi riluttanti”, Topolino e Paperino, hanno viaggiato all’Inferno; hanno scoperto (più volte) Atlantide, affrontato mostri di ogni foggia e fisiologia; nelle Fantaleggende di Caterina Mognato e Giuseppe Della Santa hanno viaggiato sulla Luna e affrontato cavalieri “inesistenti”; nella saga della Spada di ghiaccio hanno incontrato il Principe delle Nebbie, il drago Zibibbo, la bella addormentata del cosmo; in Paperino e il signore del padello hanno moltiplicato fagioli e salvato Borgopapero dalle mire dell’Oscuro Signore; nella saga long seller Wizards of Mickey hanno collezionato diamagic e vinto tornei di magia; lo stesso Artibani, coadiuvato da Marco Forcelloni, li ha trapiantati in un mondo magico e misterioso nella storia Pippo e i cavalieri alati del 1998.

Man mano che il linguaggio e l’estetica fantasy si diffondevano nel nostro Paese, il fumetto Disney ne sussumeva topoi e schemi, con finalità di volta in volta differenti e producendo opere appartenenti ai più variegati sottogeneri.

Così, L’Inferno di Topolino è una parodia ma anche un “viaggio immaginario”; le Fantaleggende sono una via di mezzo fra il poema cavalleresco (arturiano, ariostano, con un pizzico di Calvino) e il cosiddetto sword-and-sorcery; il Signore del padello, i Cavalieri alati e Wizards of Mickey appartengono indiscutibilmente al genere high fantasy; sulle pagine di Topolino non sono nemmeno rare le avventure classificabili come urban fantasy, dark fantasy, low fantasy. Molto meno frequenti sono invece le incursioni disneyane nel genere isekai.

Il termine giapponese “isekai” si può tradurre con “altro mondo” e designa una tipologia di prodotti fantasy – manga, light novel, videogiochi – caratterizzata da una evasione fisica o spirituale dei protagonisti dal proprio mondo, da una realtà quindi a noi familiare, verso un luogo (che può essere reale o virtuale, concreto o spirituale) dalle caratteristiche outré, misteriose, spesso parodistiche e stravaganti ma al tempo stesso fissate e auto-coerenti, esattamente come il mondo fantasy propriamente detto.

Il cugino di Alf

Eroe… suo malgrado

L’isekai è una forma di fantasy che non si prende sul serio, in cui l’espediente della dimensione alternativa consente anche un certo gioco sugli stilemi del fantastico. Il protagonista, individuo che nel proprio mondo è una persona comune, viaggia o viene in qualche modo evocato in un piano dimensionale alternativo ed è chiamato a ricoprire il ruolo di eroe.

Nel fumetto Disney i viaggi inter-dimensionali non sono la norma, ma nemmeno così rari. Esempi di isekai ante litteram possono essere considerate la già citata tetralogia della Spada di ghiaccio, Topolino e lo scettro di Harlech di Giampiero Ubezio e la bilogia della Rocciafiamma di Giorgio Figus e Roberto Marini.

Nella prima saga, Topolino e Pippo vengono richiamati nella terra dell’Argaar da Boz di Ululand il quale, alla ricerca del leggendario guerriero Alf, decide di… accontentarsi dei nostri eroi, fatti passare per suoi lontani parenti. Nella seconda, Topolino e Pippo giungono nel regno di Harlech grazie a una vecchia scacchiera. Nella terza, Zio Paperone e i nipoti viaggiano inavvertitamente fino ad Auralion dove, in un mondo riscaldato da due soli, avranno la missione di realizzare un’antica profezia.

Chi ha letto tutte queste saghe avrà senz’altro notato delle somiglianze narrativo-strutturali:

  1. I protagonisti vengono evocati o viaggiano consapevolmente verso l’isekai, vale a dire che non esiste mai ambiguità fra dimensione di partenza e di arrivo, “vero mondo” e “altro mondo”;
  2. Personaggi classicamente non-eroici (Pippo nel primo caso, Paperino in Rocciafiamma) vengono confusi con, scambiati per, portati a divenire eroi;
  3. La riuscita della missione è conditio sine qua non perché i protagonisti possano tornare al proprio mondo di partenza;
  4. Elementi appartenenti al fantasy classico vengono ripresi in chiave di parodia, rifunzionalizzati o rovesciati per strizzare l’occhio al lettore più “esperto”;
  5. Date le premesse, il finale delle singole storie è sempre, a grandi linee, prevedibile.

All’interno dell’isekai disneyano per così dire classico, Ducktopia ricopre una posizione eccentrica. L’avventura si articola in tre episodi pubblicati su Topolino dal numero 3433 al 3435, ed è disegnata da Francesco D’Ippolito, che si era già mostrato a proprio agio nel contesto fantamedievale in Sir Paperino e i ragionieri della tavola rotonda. La storia si sviluppa in poco meno di cento tavole (lunghezza analoga, per fare un esempio, a Topolino e la spada di ghiaccio) e si ambienta in un isekai chiamato, appunto, Ducktopia, nome quanto mai appropriato.

Topperalt di Trivia

Citazioni eccellenti

L’indifferente Re Papenethor, corrispettivo di Paperone, viene raggiunto dalle lagnanze dei propri sudditi, che riportano un comportamento anomalo da parte dei mostri, creature variegate, tendenzialmente pacifiche, che convivono con gli umani da tempo immemorabile.

In linea con il comportamento del proprio omologo contemporaneo, Papenethor incarica i propri nipoti (Quakko Bekkins e i piccoli Flip, Flop e Flap) di raggiungere il famoso Topperalt di Trivia, lo scacciatore di mostri.

Messo in allarme dalla nuova e inspiegabile aggressività dei mostri Topperalt, il Topolino di questa dimensione, deciderà di rivolgersi alla regina delle amazzoni di Rosewood, Eomynn (si tratta, ovviamente, di Minni).

Gli indizi portano i nostri eroi a Volcanstone, la base della maga Amelyeris, dove al termine di uno scontro che vede coinvolti mostri, amazzoni e draghi Topperalt scruta oltre uno specchio magico scoprendo di vivere in una realtà illusoria.

Ducktopia, Rosewood, la Corona dei Giganti, i draghi, nulla di tutto questo esiste davvero. Spetterà al sapiente Pico/Picrandir rivelare la verità a un confuso Topolino: nella realtà fumettistica quotidiana che conosciamo (la “realtà illusoria standard”) un incantesimo di Amelia, troppo potente per essere controllato, ha inavvertitamente creato l’isekai in cui si ritrovano intrappolati tutti gli abitanti del Calisota e a cui non è sfuggita neppure lei stessa. Amelia, la macchina desiderante per eccellenza del panorama Disney, ha generato un mondo caosmotico che ha solo l’apparenza dell’auto-coerenza tipica del fantasy, ma che ne è in realtà una parodia segreta.

La soluzione proposta dal sapiente consiste nel distruggere l’oggetto del desiderio di Amelia, l’Arkenon ovvero la Numero Uno traslata in un contesto fantastico (o meglio, ancora-più-fantastico), cosa che avverrà al termine di un nuovo scontro con le armate della maga combinate con quelle del Dominatore del Buio alias Macchia Nera. La conclusione della vicenda si esprime narrativamente come uno scontro di volontà, che viene vinto dall’eroe predestinato. Il risultato di questa seconda vittoria di Topolino/Topperalt è l’eucatastrofe, vale a dire la distruzione dell’isekai fasullo e il ritorno al “mondo vero”.

Chi?

Luke, io sono tuo pa… ah, no

Come sa chiunque ami il fantasy, scontro di volontà ed eucatastrofe sono importanti topoi del genere fantastico. Per citare Francesca Della Bona: «L’eucatastrofe è essenziale per indurre nel lettore l’effetto che costituisce la terza proprietà del fantasy: Tolkien lo definisce “gioia” o “consolazione” (ma non lo intendeva come un semplice appagamento emotivo), mentre Manlove – nella sua definizione di fantasy – lo indica con il termine “meraviglia”, collegando tale concetto alla «contemplazione della stranezza».

La meraviglia può essere descritta come una forma alternativa di straniamento: quell’operazione che, tramite la manipolazione formale delle loro rappresentazioni linguistiche, rende distanti oggetti ed esperienze considerati familiari dal lettore.

Similmente, la meraviglia indotta dal fantasy permette al lettore di osservare da un’altra prospettiva la realtà in cui vive – o meglio: in cui pensa di vivere – dissipando l’illusione (prodotta dalla noia, dalle convenzioni sociali, etc.) che il mondo sia un luogo spento e privo di attrattive, e ristabilendo la vividezza con cui il lettore lo percepiva un tempo (durante l’infanzia).

Tale processo viene chiamato da Tolkien “ritrovamento” (recovery): esso richiede che familiare e impossibile si combinino contestualizzandosi all’interno di un modello riconoscibile: una storia che faccia uso del modo mimetico per riprodurre ciò che è familiare e del modo fantastico per riprodurre ciò che è impossibile; usando il realismo per donare concretezza alla fantasia e la fantasia per conferire nuovo lustro alla realtà, il fantasy porta i lettori ad apprezzare nuovamente ciò che li circonda».

Spiegone

Picrandir e l’ora della verità

Nel celeberrimo Signore degli anelli (quindi anche nella sua parodia Il signore del padello) l’eucatastrofe si verifica allorché viene sconfitto il Nemico.

Il mondo fantastico si modifica e perviene a un nuovo ordine o ritorna all’ordine precedente alterato dall’oscurità. In Ducktopia l’eucatastrofe si verifica allorché Topolino/Topperalt riesce a disciogliere l’incantesimo di Amelia.

Abbiamo in questo modo il recovery tolkeniano, Topolino riesce a riportare il cast di personaggi “ducktopici” alla realtà che conoscono che è a sua volta immaginaria, illusoria, ma a noi più familiare.

Ammetto di essere rimasto spiazzato dall’agnizione/cliffhanger del secondo episodio, perché l’intento parodico di Ducktopia viene disvelato solo nel terzo e ultimo episodio con lo smascheramento della finta struttura e l’eucatastrofe finale.

Questo per me vuol dire che la storia funziona su entrambi i livelli: prima dell’agnizione funziona come fantasy puro, dopo di essa il sarcasmo e i parallelismi con i personaggi parodiati si collocano in uno spazio immaginativo differente.

La coppia di autori, non certo a digiuno di fantasy canonico (ricordiamo della Troisi la celeberrima saga del Mondo Emerso, unico esempio di fantasy italiano di successo) gioca con le aspettative dei lettori dissimulando l’isekai dietro gli stereotipi del canone. L’apparente cosmos si rivela caosmosi, finzione dotata di una struttura di bassa qualità il cui disvelamento viene potenziato dalla dichiarazione di Pico/Picrandir: «Sapessi quanto sono stanco di questa roba!».

Non fingerò di aver previsto l’agnizione del secondo episodio; tuttavia qualcosa della natura parodistica si poteva intuire dai nomi utilizzati per i personaggi. Picrandir è Mithrandir, uno dei nomi di Gandalf il grigio, stregone che è tra i personaggi principali della saga del Signore degli anelli. Sotto le sembianze di un grigio pellegrino si cela un dio, un Ainur, creatura destinata alla resurrezione, anello di congiunzione fra il regno terreno e quello divino.

Secondo lo schema di Propp il suo ruolo è quello di mentore/aiutante ed è questo il ruolo ricoperto da Pico, che completa la rimozione del velo di Maya e fornisce lo strumento necessario alla distruzione dell’artefatto chiamato Arkenon (il cui nome ricorda l’Arkenstone o Arkengemma, simbolo dell’effimero e corrotto potere dei re dei nani del reame di Erebor): il pugno di Gambadiferro, in realtà un grosso martello.

Compagnia

La compagnia prende forma

Topperalt di Trivia è ispirato a Geralt di Rivia, protagonista della saga di The Witcher ideata dallo scrittore polacco Andrzej Sapkowski. Dal medesimo universo narrativo viene Goofunculus, cioè Pippo, ispirato a Ranuncolo, cantastorie accompagnatore di Geralt.

Altri riferimenti nominali provengono sempre dalla saga di Tolkien. Quakko Bekkins è, a scelta, Frodo Baggins o suo zio Bilbo. Re Papenethor richiama Denethor II, ventiseiesimo sovrintendente regnante di Gondor; la sua ignavia e la sua grettezza si ritrovano in questa “variante” di Paperone.

Eomynn è il corrispettivo di Eowyn, nipote di re Theoden e principessa di Rohan, che nel contesto dell’epic fantasy è fra i personaggi femminili più moderni e vicini alla nostra sensibilità. Qui è la regina amazzone della Selva di Rosewood, territorio che si estende in alto, su palafitte e rami di alberi imponenti, in un modo che ricorda vagamente la foresta di Lothlòrien.

Dal punto di vista grafico D’Ippolito, che negli anni ha conosciuta una vera e propria esplosione e che regala scorci estremamente affascinanti e tavole mute di sicuro impatto, si ispira notevolmente al tratto di Giovan Battista Carpi mentre nel design delle creature magiche dimostra di aver studiato attentamente Bone di Jeff Smith nonché Monster Allergy, serie dei primi duemila sceneggiata dallo stesso Artibani.

Elemento di grande interesse di Ducktopia (il cui titolo, che riprende l’idea dell’Utopia cioè del luogo immateriale, è alla luce del finale incredibilmente rivelatore) è il suo distaccarsi dai capolavori Disney che ho citato un po’ più su. I protagonisti non sono consapevoli del loro “viaggio” nell’isekai e il momento cruciale nella lotta contro i poteri oscuri è rappresentato dalla scoperta del mondo vero.

Finale

Eucatastrofe!

I personaggi classicamente non-eroici in precedenza preferiti come eroi, in un rovesciamento di ruoli mirato a spiazzare e incuriosire il lettore, qui non poteva esserci. La parodia segreta richiedeva un certo uso (ma non un abuso) del luogo comune e quindi la presentazione di un eroe predestinato, senza macchia e senza paura.

Date le premesse, il finale non è affatto prevedibile. Anni e anni di Wizards of Mickey ci hanno abituato a un certo tipo di topoi, a passaggi narrativi che raramente esulano dai canoni dell’high fantasy e se lo fanno ciò accade per pochissimo tempo (vedi ad esempio la corruzione di Topolino nella seconda serie).

Ducktopia è una serie veloce, in cui non c’è spazio per i dubbi e per la crescita dei personaggi. La necessità della sorpresa finale lo richiede: in questo modo, a una seconda lettura, tutti i “difetti” identificati dai lettori trovano la propria spiegazione.

Da amante del genere fantastico, pur nelle sue facilitazioni di scrittura, non riesco mai ad apprezzarne del tutto le ridicolizzazioni. Tuttavia, come detto, Ducktopia riesce a funzionare pienamente anche come avventura fantasy classica. La storia è percorsa da una lieve ma gradevole vena di ironia che è anche autoironia, proprio perché tutti gli autori coinvolti hanno già legato il proprio nome al genere.

L’espediente della “realtà illusoria” è ottimo, e sebbene possa essere utilizzato una volta solta, riesce a sorprendere in modo più che efficace. L’ultima magnifica tavola, che si incarica di risolvere un ultimo (piccolo) mistero, ci riporta alla quotidianità del “mondo vero”, quello a cui da lettori siamo abituati. Ma si tratta di un ritorno relativo, perché nella realtà del fumetto Disney il sense of wonder non finisce mai.

Autore dell'articolo: Manuel Crispo

Medico con la passione per la scrittura, pker di vecchia data, come tanti ho iniziato a leggere con Topolino. Col tempo ho divorato voracemente manga, manhwa, historietas, BD e tutto ciò che è targato Sergio Bonelli, ma l'incredibile mondo Disney resta il mio primo amore.